Padre Occidentale — Il mistero di Simone Lisi
O, meglio, il mistero della scrittura di Simone Lisi. Che, credo, può essere interpretata almeno a due livelli: il primo, quello superficiale, di una scrittura esclusivamente referenziale, che non suggerisce cioè nulla al di là di ciò che la minimale trama srotola, ovvero la storia di uno scrittore trentenne, fiorentino, che vive le sue giornate con un approccio alla vita oppresso dalle incombenze e dall’idea che “esiste solo la vita borghese” ma allo stesso tempo viene distratto costantemente da pensieri più profondi che, però, sembrano sempre scivolare su questa superficie senza mai attaccarlesi e offrirsi come porta per scendere a fondo; di uno scrittore che viene stimolato da suo padre, insegnante di yoga, a scrivere un libro sullo yoga, a indagare il mistero dell’ “ineffabile origine dello yoga” a Firenze e in Italia, e fa di tutto per non scrivere questo libro, il suo sé oppone resistenza all’opera che il padre (occidentale) ha intravisto e il libro che leggiamo non è che la lunga lista di modi in cui lo scrittore disattende il compito che il genitore ha visto per lui. Il rapporto tra padre, figlio e nonno, un rapporto tra generazioni, un testimone che viene passato, e la vita quotidiana, anche quella più semplice, che in Lisi sembra impossibile da domare, come se fosse un mare in cui il suo personaggio è immerso, privo di rotta da sé prescelta. Lasciarsi vivere e scegliere di lasciarsi vivere. In questa prima lettura Padre occidentale (effequ, 2021) potrebbe risultare anche deludente, un tiepido tentativo di auto fiction che non si sa dove vada a parare, una collezione di occasioni mancate, un fallimento come quello del personaggio del romanzo stesso.
C’è poi il secondo modo di leggere questa scrittura, ed è quello di aggrapparsi al mistero di certe frasi, di certi suggerimenti sparsi qua e là nel romanzo, per scoprire che questo è un esercizio di indagine sulla scrittura stessa e sulla vita quotidiana che nasconde appunto faglie di profondità, canyon smisurati che spesso scegliamo di non attraversare. Lo yoga, di cui si parla poco, resta sullo sfondo come una pratica che fa stare bene e lega un padre ad un figlio. E il rapporto tra le generazioni come ricerca di un’impossibile origine (che senso ha cercare l’origine? sembra chiedersi Lisi, l’origine delle cose non è la soluzione di niente, dobbiamo piuttosto guardare le cose stesse). Insomma c’è un secondo livello in cui i significati vanno cercati come in una caccia. Il padre occidentale vorrebbe che suo figlio scrivesse un libro compiendo un’indagine logica e razionale; il figlio, forse con atteggiamento più orientale, scivola sul tempo e sugli eventi.
Questa strana scrittura mi interroga e mi pare grondi di filosofia pur nascondendola, in un certo senso. Vorrei capirla ma non si lascia comprendere con semplicità e sfugge, lancia indizi che forse solo in parte la razionalità può mettere insieme.